La notte senza confini – di Elena Ramella

A mezzanotte, quando tutti i confini erano ormai cancellati, le luci bianche dei lampioni pulsavano dolorose come un’emicrania.

Il motore si è avviato e le luci si sono accese. Devo solo premere sull’acceleratore e rovinarmi la vita. Ogni cosa attorno a me si scompone, si sfalda, e io sono un macellaio dell’amore e piuttosto che lasciar perdere la causa mi arrendo ai fatti e continuo a macellare, a macellare, e a farmi del male.”

Quando era arrivato sotto casa sua aveva accostato sulla sinistra di un marciapiede e aveva spento il motore, lasciando cadere le mani sul volante e la testa all’indietro. L’aveva aspettata tutta la sera, aveva guardato le luci degli appartamenti dei palazzi spegnersi una dietro l’altra, e alla fine era rimasto solo più lui, davanti ad una striscia di asfalto illuminata dalla luce arancione dei fari. Verso le undici aveva iniziato a piovere. Piccole gocce quasi invisibili si erano posate su tutto il parabrezza, ricoprendolo con uno strato sottile, sfocando le figure davanti ai suoi occhi. I finestrini si erano annebbiati e lui aveva sentito l’umidità salire dall’asfalto ed entrargli fin nelle ossa.

Ripensò a quella notte, alle sue dita sull’avambraccio, dove le vene erano in rilievo sotto la pelle bianca, i nei imparati a memoria, i polpastrelli appoggiati sulle labbra.

Ombra, portami giù. Inchiodata al tuo sguardo, le distanze annullate. In un disastro simile, quale parole potrebbero sistemare la situazione?”

Le aveva guardato i contorni delle palpebre, la sua testa sulle sue gambe, il viso di lei chinato sul suo. Tutto si era concentrato lì, in quell’istante. Era tutto buio, anche loro erano solo ombre. Il sapore del suo bacio. Blu scuro. Si era sentito impedito, inceppato, immobile, eppure stranamente vivo. La sua pelle non aveva più avuto radici, si era sradicata sotto le dita di lei. I lampioni erano caduti sui suoi occhi, sulle labbra, sui capelli, e l’avevano toccato, e si erano dissolti. Nel nulla.

Potremmo dirci che ci amiamo, semplicemente.”

L’ombra delle sue labbra, un abisso.

Perché te ne sei andata? Perché ora sei tornata? Come posso sapere che resterai? Ripartirai?”

Dimmi che mi ami.”

Ogni fibra avrebbe potuto spezzarsi in quel momento, e il furore dilagare, lei seduta muta, con quegli spasmi, con gli occhi fissi nei suoi, e la maledizione silenziosa del momento in cui si erano lasciati andare.

Le aveva passato le braccia intorno al collo. Quel dolore che l’avrebbe sempre accompagnato, che gli sarebbe sempre appartenuto.

Sono innamorata di te.”

Resta. Resta. Resta.”

Il tempo si era spezzato ed era stato inghiottito dall’eternità. Si era sentito annegare senza scampo. Aveva perso una vita dietro l’altra, ogni secondo che era passato, ogni minuto che era diventato passato.

Cosa facevano le mie dita prima di accarezzarti? Cosa faceva il mio cuore prima del tuo amore?”

Non ti lascerò andare.”

Quella volta aveva rimesso in moto la macchina, e aveva guidato senza una meta, la mano destra appoggiata sul suo ginocchio, come sempre. Le foglie degli alberi si erano mosse stampando ombre dalle forme liquide sulla strada.

Poi la vide passare, e il tempo dentro di lui si contrasse. Camminava veloce, fu una frazione di secondo. Attraversò la strada proprio davanti alla sua auto, i fasci di luce dei fari la avvolsero e trasformarono la sua figura, proiettandone l’ombra umida e bagnata a terra, sull’asfalto. Teneva stretto con entrambe le mani un piccolo ombrello nero, era vestita di nero, dalla testa ai piedi, dalla punta del cappello alla suola delle scarpe col tacco basso. In tutto quel nero solo il suo volto pallido spiccava, il buio le disegnava dei lineamenti nuovi, inquieti, preoccupati, affannati. Vide i suoi capelli, ciocche di capelli che sfuggivano dallo chignon. Passò davanti a lui, nel suo abito lungo fino alle ginocchia, riuscì a vedere la forma delle sue gambe avvolte dalle spesse calze scure, ancora una volta, solo più una volta.

Fu solo quando lei svoltò l’angolo che lui si accorse del tram che stava per ripartire, che aveva fatto la fermata proprio dall’altra parte della strada, e da cui probabilmente era scesa, così di fretta, così veloce, con i piedi che avevano appena sfiorato il suolo. Chissà da dove tornava. Chissà dove era stata. Lui, che aveva pensato di conoscere così bene l’amore, l’amore di notte, quando tutto era buio e le strade erano nere e gli unici raggi di luce erano quelli riflessi dalle rotaie del tram, si accorse di non sapere assolutamente nulla. Sapeva solo che gli amori fanno dei nodi impossibili da sciogliere, e lui era rimasto annodato.

L’aveva aspettata così tanto. Fermo lì, seduto in una macchina gelida, aveva iniziato a tremare e non era più riuscito a smettere.

Nelle orecchie ancora quella frase, “dimmi che mi ami”. Ma lei era già, di nuovo, scomparsa. “Resta. Resta. Resta.” e ora non sapeva se lei davvero l’aveva ripetuto tre volte o se era solo più l’eco del ricordo deformato dal tempo e dal silenzio della città alle tre del mattino.