Parigi – 1849
Venendo da Montmartre e poi giù per il Lungosenna s’incontrano una miriade di viuzze e vicoletti e un incauto viaggiatore che s’addentrasse per caso in quel labirinto dovrebbe tenersi ben stretta la borsa specialmente di sera, quando il buio si anima di ombre tra gli androni delle porte. In una di queste vie, chiamata Rue du Éros, vi abitava un tempo un certo monsieur Armand, fotografo. Stava in due stanze al terzo piano, al numero 9. La fotografia era stata da poco inventata, solo una decina d’anni prima e fare il fotografo era considerato un lavoro
da bohémien di seconda classe, in prima c’erano i pittori di Montmartre, non meno affamati di lui. Ma Jean Marie Armand era un bel giovane, povero ma appassionato e s’era comprato una macchina fotografica di seconda mano; una di quelle scatole di legno, poggiate in bilico su tre trampoli. Spesso, di giorno, se la portava dietro a
Montmartre, sperando di trovare una buon’anima di turista disposto a dargli qualche franco in cambio di una fotografia. Per lo più lo prendevano per matto. Meglio andava nello studio che aveva attrezzato in una delle due stanze. Nell’altra ci mangiava e dormiva. Lui lo chiamava studio, in verità era uno stanzino quattro per quattro, con
finestra da cui entrava un poco di luce per la fotografia. Ma d’inverno era buio e freddo per quelle giornate grigie senza sole, né luce. Candele. Se trovava un cliente le accendeva tutte e la stanza sembrava un santuario. Era uno stanzino nudo e gelido: nel mezzo ci stava la scatola sui tre trampoli che col suo occhio nero fissava una sedia posta
dinanzi a lei. Peggio andava per Rue du Éros ove una grigia umida penombra invadeva sempre la via durante il giorno e, al calar del sole, era sostituita dal nero del buio. Due lampioni a gas ne illuminavano l’entrata e l’uscita ma erano due lumini che lasciavano cadere attorno un cerchio di pallido chiarore tremolante che, a tratti, sembrava
svanire. Lungo tutta la misera via i negozi erano solo due: una bottega di merceria con gomitoli, bottoni, aghi esposti nella vetrinetta e un’altra di cianfrusaglie che esponeva orecchini, spille, fermagli, tutti falsi. C’era anche la cantina di un carbonaio e, nel mezzo della via al numero 9, Jean Marie Armand aveva piazzato, sopra lo stipite della porta, un’asse di legno lunga e stretta che recava la scritta: Jean Marie Armand PHOTOGRAPHE.
Il nome della via era azzeccato. La ragione per cui si chiamasse così stava nel fatto che, la sera, dopo che era passato l’allumeur ad accendere i lampioni, la via s’animava di donne. Non si sa se le fu dato prima il nome o se furono prima le donne a popolarla. In ogni caso, quasi ad ogni porta ne sostava una e nell’aria echeggiavano risate e
inviti agli uomini che numerosi vi passavano. Armand era un giovane tenace ma anche riservato, timido insomma e tutto quel via vai e quegli inviti lo turbavano un po’. Tornava ogni sera stanco dal suo giro a Montmartre. Camminava a testa bassa con la macchina fotografica sulla spalla, cercando di schivare quei richiami. Ma, giunto sulla porta, eccola di nuovo, sempre lei! «Voulez-vous coucher avec moi?», gli chiedeva. Era una giovane discinta, prosperosa e provocante, dai fulvi capelli rossi. L’accentuato trucco nero degli occhi, il nastrino rosso attorno a collo e l’esuberante scollatura del vestito non lasciavano dubbi. Si capiva, non c’era bisogno che chiedesse. Le prime volte Jean
Marie entrava a testa bassa, poi iniziò a risponderle «No, merci», e infine le disse che non aveva soldi, ma la ringraziava comunque. Una sera stava tornando a casa particolarmente sfiduciato, non aveva fatto nemmeno una fotografia e la pancia brontolava per la fame. Pensava che avrebbe dovuto vendere la macchina per mangiare e là ad
accoglierlo c’era lei col quel sorriso sfacciato e la solita domanda. «Non ho soldi», le rispose, «ma se vuoi ti faccio una fotografia». Lei lo seguì su per le scale. Lui la fece accomodare sulla sedia e accese tutte le candele. Di fotografie gliene fece dieci, nelle diverse pose seducenti e licenziose che lei assumeva con naturalezza da incallita attrice quale era. «Domani le sviluppo e te le do, buona notte», le disse mentre lei già si stava già spogliando. «Non vuoi niente in cambio?», chiese lei. Avrebbe voluto risponderle che no, non importava. Avrebbe voluto confidarle tutta la sua miseria. Avrebbe voluto essere abbracciato e consolato ma fece solo un cenno col capo e disse «Vieni di là». L’indomani uscì presto da casa, quando lei ancora se ne stava rannicchiata nel letto, dopo quella notte di passione
amorosa. Il treppiedi in spalla e le fotografie di lei in tasca. Voleva fare un ultimo tentativo. Fece tre foto a turisti e vendette tutte le cartoline osé di lei. Tornò felice a casa quella sera e lei stava lì sulla porta.
Prima che potesse parlare le consegnò metà dei soldi e poi le chiese se voleva fare altre fotografie. «Sì», rispose lei. Gliene fece cinquanta, le ultime venti nuda e la mattina seguente le vendette tutte. Continuarono
così per diversi giorni, le cartoline andavano a ruba. Ora lavoravano nello studio di giorno e la sera lui andava a vendere le fotografie per la città. Lei s’era insediata in casa. Faceva da mangiare, puliva, spazzava
e si spogliava. Jean Marie era un giovane d’inventiva e anche un po’ narciso. Un bel dì s’ingegnò per fare una fotografia a sé stesso insieme alla sua modella, rigorosamente nudi naturalmente, ma allora chi
avrebbe oscurato l’occhio della macchina? Nessuno avrebbe potuto farlo senza sbirciare la nudità dei loro corpi. Un conto era vedere delle fotografie ma esporre alla vista di uno o tutti la propria intima nudità gli pareva troppo. Pensò d’ingaggiare un cieco ma una presenza estranea anche se non vedente lo infastidiva per cui costruì una specie di baldacchino con sopra poggiato un telo nero. Si denudò e si mise accanto a lei, già nuda. Immobili fino allo scadere del tempo stabilito. Jean Marie tirò con la mano nascosta un filo e il telone ricadde sulla macchina fotografica, oscurando tutto. Jean Marie Armand aveva inventato il selfie. Ebbe un immediato successo. Tutti volevano farsi un selfie e monsieur Armand e signora, si trasferirono in un grande atelier fotografico a Montmartre.