Non so perché siamo usciti a cena. Non lo facciamo da anni. Come siamo finiti a mangiare nel ristorante cinese dove, da giovani squattrinati, ci rifugiavamo nelle sere d’inverno? Forse vuoi farmi ricordare come eravamo? No, troppo complicato per te. Hai smesso di essere un rivoluzionario quasi subito, tu sei concreto e realista, coi sogni ci fai a botte. Volevi semplicemente un involtino primavera.
Siamo uno davanti all’altro, separati da una rosa rossa il giorno di San Valentino. Quando abbiamo smesso di amarci? Abbiamo già cominciato a odiarci? Chissà se ci siamo arrivati camminando o correndo, sinceramente non me ne sono accorta.
Ci siamo presi spesso di mira sparando a distanza, da dietro l’angolo, per poter fuggire rapidi come fanno i bambini quando rompono qualcosa, per poi scordarcene. Ci siamo rincorsi credendo di riprenderci, ma erano centimetri su centimetri di spazio gelido che si allineava. Siamo sempre stati forzatamente legati da un sottile filo stretto intorno ai nostri mignoli e ogni tanto, uno dei due, dava uno strattone all’altro per accorciare la distanza. Ci siamo abbracciati spaccandoci le costole cercando lì sotto un cuore che era già scappato in mezzo al traffico della vita. Quando siamo diventati così pesanti? Quando siamo diventati piombo? Non so a chi dare la colpa. Forse è tutta mia. Forse dei figli. Si dà sempre colpa ai figli. Prima li si vuole ossessivamente e poi diventano un muro. Io, i figli e te dall’altra parte.
Cuori spenti e asciutti mentre beviamo il rigurgito di un amore passato, grondante di dolori contemporanei. Crediamo di avere tempo per rimediare perché tu indossi ancora una felpa e io scarpe da ginnastica. Crediamo che debba essere così, che di meglio non riusciamo a fare. Viviamo con la speranza che il passato ritorni ricordandoci l’eco dei battiti e delle risate.
L’amore è un conto alla rovescia, teniamoci il meglio che è stato, salviamoci ancora una volta a modo nostro prima che il tempo si sia mangiato tutto. Impareremo a stare così, semplicemente a stare.