Ci sono libri accatastati sul mio comodino da anni, precisamente da quando ero adolescente. Non riesco a farne a meno, né li ho mai immaginati in un posto diverso. Il mio legame con loro è così forte che non riesco proprio a collocarli nella libreria di casa. Stanno un volume sull’altro a prendere polvere, si penserebbe, e invece no, ogni volta che posso sfoglio e rileggo qualche poesia, in particolare di Emily Dickinson. Da vent’anni è lei a darmi la buonanotte e ci sono alcuni suoi versi che porto nel cuore, oltre che nella memoria, come quelli di Wild Nights:
«Wild Nights – Wild Nights! / Were I with thee / Wild Nights should be / Our luxury! / Futile – the Winds – / To a Heart in port – / Done with the Compass – / Done with the Chart! // Rowing in Eden – / Ah, the Sea! / Might I but moor – Tonight – / In Thee!». Nella traduzione di Margherita Guidacci in lingua italiana, il componimento suona così: «O frenetiche notti! / Se fossi accanto a te, / queste notti sarebbero / la nostra Futili i venti / a un cuore in porto: / ha riposto la bussola, / ha riposto la carta. / Vogar nell’Eden! // Ah, il mare! / Se potessi ancorarmi / Stanotte in te!».
Considerata una poetessa tanto brillante quanto casta, Emily Dickinson componeva versi come questi dedicandoli all’amica Susan, trattenuta com’era dagli opprimenti conformismi borghesi dell’Ottocento. Chiamata anche la vergine di Amherts, era solita comporre una lirica dopo l’altra, mentre le parole nascevano da impulsi indomabili e, dopo essere cresciute, si esaurivano sui fogli di chi le aveva appena create. Con un vocabolario stravagante ed enigmatico, dunque, la poetessa è da sempre considerata una donna dalla personalità potente, a volte addirittura blasfema. Il suo era un mondo che vorticava intorno a un numero limitato di fuochi: l’amore, la vita e la morte, la natura e gli animali, Dio e l’uomo. Ed è così che un pettirosso, nominato più volte nella sua produzione, poteva diventare ora una metafora propizia e ora un’allusione nefasta.
Dopo un breve viaggio a Washington, Emily si isolò volontariamente nella sua stanza per contemplare meglio gli uomini, il dolore e l’attesa. Per tale ragione la sua quotidianità potrebbe sembrare povera di avvenimenti, scanditi tra l’altro da una vita enigmatica e silenziosa, ma sicuramente densa dei moti interiori di uno uno spirito impulsivo e inquieto. Conoscendo profondamente le vicende e la poetica dell’autrice statunitense, mi sono chiesta se fosse possibile trasformare un personaggio storico dai contorni sfocati, che ci ha lasciato con molte domande senza risposte, in un’eroina pop dei nostri tempi. Se lo dico è perché ci hanno sul serio provato con una nuova serie TV intitolata Dickinson, nella quale una minorenne piena di speranze e ambizioni vive un’esistenza da lei ritenuta troppo pacata per la sua indole ribelle.
Per chiunque da anni abbia l’abitudine di leggere poesie su una carta che profuma ormai del passaggio del tempo, vedere una simile trasformazione allo scopo di colpire un pubblico teen risulta a tratti provocatorio e irritante. Purtroppo o per fortuna, infatti, spesso sono i mass media a decidere chi merita di diventare un’icona pop e, nonostante da un lato sia confortante credere che le nuove generazioni possano decidere di comprare una raccolta di poesie dopo avere guardato Dickinson, a fronte del risultato ottenuto stavolta dal piccolo schermo, una simile ipotesi rimane improbabile. Com’è chiaro, non è l’approccio a essere condannabile di per sé (film come Maria Antonietta di Sofia Coppola sono risultati di alto livello, per esempio), però probabilmente io stessa non ero pronta a vedere il mio modello adolescenziale trasformato in una ragazzina esuberante e fuori controllo. Niente da eccepire in merito a una colonna sonora attuale e a uno spartano collage di avvenimenti non proprio in linea con la realtà dei fatti, ma, evitando di ripercorrere le consuete strade di determinati progetti biografici, questo adattamento fortemente contemporaneo risulta deludente e forzato.
Un personaggio storico sfaccettato come lei, d’altronde, è diventato un’adolescente in contrasto con il suo tempo, accompagnata da altrettanti personaggi catapultati nel XIX secolo attraverso una scenografia accurata e dei dialoghi contemporanei, in cui gli eventi cardine della vita della protagonista sono stati però elaborati in chiave moderna. Un telefilm ideato quindi per la Generazione Z. Un trionfo del pop sul classico. C’è da chiedersi, tuttavia, se sia davvero questo il modo giusto di recuperare un’icona femminile del suo calibro. Un personaggio raccontato a suon di canzoni famose, benché non si tratti di una novità nel panorama cinematografico, può essere visto come un modello da parte delle ragazze di oggi? Può trasmettere significati profondi e mettere in relazione i problemi delle giovani del 2020 con quelli di due secoli fa?
Come direbbe la dama in bianco, con un pizzico di ironia, la vita è un infinito dolore – e qualche volta lo sono anche certi adattamenti.